Museo Archeologico Nazionale di Mantova

Orari di apertura del Museo Archeologico:

dal martedì al sabato: ore 8.15 - 19.00
domenica: 14.00 - 19.00

Il biglietto d'ingresso è acquistabile presso la biglietteria unica in piazza Sordello 40 (tel. 0376-224832):
€ 15 (compresa visita a Palazzo Ducale completa di Camera degli Sposi) 
€ 9 (comprensivo di visita alle sole Corte Nuova e Corte Vecchia di Palazzo Ducale, senza Camera degli Sposi)

Aperto nel 1998 nel sito che fu Teatro di Corte dei Gonzaga nel Cinquecento e dal 1896 mercato cittadino dei bachi da seta (come si evince dalla scritta attualmente ancora visibile in facciata), custodisce le testimonianze di archeologia del territorio mantovano e spazia dalla Preistoria alla Protostoria, dal Neolitico alla romanizzazione fino alle soglie del Medioevo.

Di seguito riportiamo una selezione, a cura del funzionario archeologo Mari Hirose, dei più notevoli ritrovamenti visitabili presso il museo:

Gli amanti di Mantova

Gli amanti di Valdaro
Questa sepoltura di straordinaria importanza, rinvenuta nel 2007 a Valdaro, ha colpito fin da subito il pubblico per il suo impatto emozionale. I due giovani, di circa 20-22 anni di età, furono deposti insieme intorno a 5500-5100 anni fa, con un corredo funerario di strumenti in selce. Tra questi si distinguono una lama lunga, usata come pugnale dall’uomo, e la punta di una freccia, posta vicino alla spalla della ragazza. Gli Amanti costituiscono il cuore dell’allestimento permanente del primo piano del Museo, dedicato alla Preistoria e Protostoria del territorio mantovano.

Forma di fusione in arenaria, Isolone del Mincio (Volta Mantovana)
In Italia il ritrovamento di forme di fusione, utilizzate per la produzione di pendagli e altri piccoli ornamenti in bronzo, è un evento piuttosto raro. La forma di fusione in arenaria proveniente dal sito dell’Isolone del Mincio, a Volta Mantovana, è un’importante testimonianza del grado di maestria raggiunto dagli artigiani metallurghi della seconda metà del II millennio a.C. Era utilizzata per produrre pendagli e lamine decorati, realizzati colando il metallo fuso all’interno degli stampi. Le forme di fusione dovevano essere necessariamente prodotte con materiali refrattari, come la pietra arenaria in questo caso, inalterabili se sottoposti ad alte temperature.

Scarabeo in diaspro, Forcello (Bagnolo S. Vito)
Uno scarabeo in diaspro, proveniente dal medio oriente o da Cipro, è stato ritrovato durante lo scavo di una ricca dimora di fine VI-inizio V secolo a.C. nell’abitato etrusco del Forcello, a Bagnolo S. Vito. Già 2500 anni fa questo sito, a spiccata vocazione commerciale, intesseva strette relazioni internazionali non solo con le popolazioni della penisola (Veneti, Reti, Celti di Golasecca), ma anche con i Celti dell’Europa centrale e il mondo mediterraneo. Lo scarabeo era probabilmente utilizzato come sigillo: l’effige del dio egizio Bes in lotta con un leone, incisa minuziosamente sulla faccia inferiore, era impressa su argilla o cera come emblema distintivo del suo proprietario.

Alfabetario etrusco, Castellazzo della Garolda (Roncoferraro)
Nel Mantovano si conoscono circa una cinquantina di iscrizioni etrusche, tracciate sul fondo o sulle pareti di recipienti in ceramica. Gli Etruschi appresero la scrittura dai Greci intorno al 700 a.C. e, dalla rielaborazione del loro alfabeto, ne crearono uno nuovo più adatto alla propria lingua, che conobbe nel tempo varie modifiche. Dall’abitato del Castellazzo della Garolda proviene un raro esempio di alfabetario etrusco, inciso sul fondo di una ciotola, che riporta tutte le venti lettere in uso nel IV secolo a.C.

 

Elmo tipo Montefortino dal fiume Po (Revere)
L’elmo in bronzo proveniente da Revere, rinvenuto sul greto del Po, appartiene al genere denominato “Montefortino”. Gli esemplari più antichi arrivarono in Italia con le invasioni celtiche del IV secolo a.C. Il tipo venne presto prodotto da botteghe etrusco-italiche e divenne parte integrante anche dell’equipaggiamento utilizzato dai soldati romani. Con varie modifiche nel corso del tempo, rimase in uso fino all’inizio del I secolo a.C. I piccoli fori presenti sul bordo inferiore indicano il punto in cui due protezioni (paragnatidi) erano applicate ai lati della calotta per riparare le guance. Al puntale sommitale veniva fissato il piumaggio decorativo, che poteva essere costituito da penne di cigno.

Candelabro in bronzo (Castiglione delle Stiviere)
Il candelabro in bronzo di Castiglione delle Stiviere fa parte del corredo funerario, unico per la sua ricchezza tra le sepolture scoperte a nord del Po, di un esponente di spicco della tribù dei Celti cenomani. Ad accompagnare il defunto nel suo viaggio vennero deposti, intorno alla metà del III secolo a.C., preziosi oggetti in bronzo di tradizione sia celtica, sia etrusco-italica. Si distinguono in particolare proprio il candelabro, più antico rispetto agli altri reperti di circa un secolo, e i frammenti di un carnyx, una tromba da battaglia dalla forma caratteristica.

Monumento della gens Caepia (Mantova)
La sezione dedicata all’epoca romana propone la ricostruzione del monumento funerario della gens Caepia (I a.C. - I d.C.), ricomposto da frammenti rinvenuti a Mantova presso il Seminario Vescovile. Secondo l’iscrizione dedicatoria Lucio e Publio Caepio, figli di Lucio, lo edificarono per la madre, Acuzia Massima. I personaggi sono ritratti da tre statue: la donna, abbigliata con una tunica e ornata di gioielli, è affiancata da due figure maschili con la toga, imposta da Augusto come abito distintivo della classe senatoria..

Collana d’oro da Goito
Da una necropoli di Goito situata lungo la via Postumia proviene una collana d’oro con cammeo raffigurante la dea Minerva, prezioso prodotto dell’oreficeria romana di metà III secolo d.C. Il cammeo è scolpito in una pietra d’agata a due strati di colore bianco e grigio-blu. In bianco è realizzato il busto della dea, che indossa un elmo di tipo corinzio con pennacchio e un corpetto a scaglie fissato sulla spalla da una spilla a disco.

Corredo longobardo da via Rubens (Mantova)
I Longobardi arrivano in Italia da invasori nel 568 d.C. La loro presenza a Mantova, testimoniata dalle tracce di poche abitazioni, è conosciuta soprattutto grazie allo scavo di due aree cimiteriali situate presso il Seminario Diocesano e in via Rubens.
In quest’ultima località, tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo d.C., fu sepolto un bambino insieme a un ricco corredo. Si trattava del figlio di una famiglia particolarmente benestante, come ci raccontano una cintura maschile con guarnizioni in oro, una crocetta aurea e una collana con elementi sempre in oro, che i suoi familiari deposero con lui per accompagnarlo nel suo ultimo viaggio.

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