Non c’è bisogno di introdurre Isabella d’Este, unanimemente riconosciuta come colta e raffinata collezionista d’arte, nonché come committente di importanti complessi decorativi e opere. Numerosi studi sono dedicati a questa figura, che segnò uno dei momenti più felici della storia di Mantova. Tra le tante imprese promosse da Isabella, vorremmo dedicare la nostra attenzione a una delle sale del cosiddetto Appartamento vedovile, la sala della Scalcheria.
Nel 1519, dopo la morte del marito Francesco II Gonzaga, Isabella decise di trasferirsi nei locali al piano terreno della Corte Vecchia, lì dove aveva vissuto in precedenza anche Paola Malatesta, facendoli rinnovare per l’occasione. Il pittore Lorenzo Leonbruno, già attivo per Francesco II, fu responsabile dell’allestimento del nuovo appartamento e lasciò la sua più importante testimonianza nella sala della Scalcheria. In questo ambiente egli decorò la volta con affreschi e stucchi all’antica e la parte sommitale delle pareti con lunette raffiguranti scene di caccia dal significato allegorico. La scelta di alcune specifiche soluzioni decorative è estremamente significativa per comprendere le preferenze di Isabella e il suo profondo amore per l’antico.
Oltre a scegliere per la propria collezione pezzi antichi e opere moderne dal sapore anticheggiante – fra tutti i bronzetti di Pier Jacopo Alari Bonacolsi detto l’Antico – la marchesa invia Leonbruno direttamente a Roma, nel 1521, per favorire il suo aggiornamento sui fatti artistici dell’Urbe. Il pittore può contare su una guida d’eccezione, Baldassarre Castiglione, il quale gli mostrò “quelle cose antiche et moderne belle di Roma”. Forte di questo aggiornamento, nel 1522 Leonbruno dipinse la volta della sala della Scalcheria con motivi a grottesche su sfondo bianco ispirati dalle decorazioni della Domus Aurea, la celebre villa di Nerone scoperta negli anni ’80 del Quattrocento, con degli inserti in stucco. Il pittore utilizza un numero limitato di figure e composizioni che ripete sulla parete, sia nello stesso verso che ribaltandoli simmetricamente. Sono motivi cosiddetti a grottesca, con creature in parte umane e in parte di fantasia caratterizzate da una continua metamorfosi.
Al centro della volta, Leonbruno inserisce un oculo da cui si affacciano una fanciulla e un punto, fingendo un’apertura verso l’esterno ispirata al celebre prototipo della camera picta di Andrea Mantegna. Questa citazione può essere letta come un esplicito omaggio al Mantegna sotto molteplici aspetti, non ultimo il desiderio di far rivivere le antichità nelle sue creazioni. Quindi per Leonbruno – e con ogni probabilità anche per Isabella stessa che pure in vita non aveva evitato dissidi con Mantegna – il pittore padovano era da celebrare al pari dei modelli antichi da imitare, quali appunto la Domus Aurea. Un ulteriore rimando al capolavoro del Mantegna è da rintracciare nei tondi con busti abbigliati all’antica su sfondo a finto mosaico: in questo caso Leonbruno non si ispira alla fonte diretta ma all’interpretazione che ne fornisce Mantegna nella volta della Camera degli Sposi, nella cui volta sono raffigurati imperatori dipinti a monocromo con il medesimo sfondo a imitazione del mosaico.
Questo rapido excursus ci aiuta a comprendere quanto sfaccettata fosse l’idea di antichità cui si ispirava Isabella, un’idea che non poteva essere soddisfatta esclusivamente con il collezionismo di oggetti romani del passato, ma che era costantemente alimentata con la commissione di opere “anticamente moderne” e con la ricerca di modelli che con lei condividevano questa passione. (MZ)
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