Celebriamo la Giornata Nazionale della Cultura del Vino e dell'Olio del 9 maggio 2020 con un "brindisi digitale" insieme agli Etruschi!
In Italia le più antiche attestazioni di coltivazione della vite risalgono a oltre 3.000 anni fa (età del Bronzo media e avanzata) e sono state rinvenute in Toscana e Lazio settentrionale. Sono queste le terre che, nel I millennio a.C., danno vita alla splendida civiltà degli Etruschi, che furono produttori e intenditori di vini pregiati. Nel VI secolo a.C. il commercio vinicolo nel mar Tirreno settentrionale era infatti dominato dalle città di Vulci e Caere (oggi Cerveteri), come provano numerosi relitti ritrovati lungo la rotta verso la Francia. Il mercantile affondato presso l’isola di Grand Ribaud, ritrovato a più di 60 metri di profondità, trasportava nella stiva oltre 800 anfore ceretane.
Gli Etruschi, oltre ad esportare i propri vini, facevano anche da tramite nel commercio di prodotti greci. Alle porte di Mantova il sito del Forcello, a Bagnolo S. Vito, ha restituito migliaia di frammenti di anfore provenienti da località dell’Egeo come Taso, Mende e Chio, famose nell’antichità per i loro vini, o Samo e Mileto, rinomate invece per l’olio.
Al Forcello il loro contenuto veniva travasato in recipienti più adatti al trasporto via fiume, ad esempio botti, e proseguiva oltre le Alpi verso le terre dei principi Celti, grandi estimatori di merci “esotiche” provenienti dal Mediterraneo.
Insieme alle anfore arrivavano via mare anche raffinate ceramiche destinate al consumo del vino, prodotte soprattutto in Attica, la regione di Atene. Da qui provengono i crateri e le coppe (kylikes e skyphoi) ritrovati nelle case del Forcello e negli scavi di Mantova, utilizzati dalle famiglie etrusche più facoltose durante il rito del simposio, anch’esso di origine greca.
Con questa parola, derivata da syn, “insieme” e pìnein, “bere”, si indicava la seconda parte dei banchetti: era il momento in cui, terminato il pasto, i commensali si intrattenevano con canti e danze, conversando, ascoltando musica e recitando poesie. Protagonista della festa era il vino, mai bevuto puro. Un “simposiarca”, scelto tra gli invitati, aveva il compito di mescolarlo con acqua e spezie all’interno del cratere e di decidere quante coppe ne spettassero a ciascuno. Era consigliato bere con moderazione:
“Tre soli crateri io (Dioniso) mescolo
per gli uomini assennati: per la salute è il primo
che essi bevono, il secondo
per il piacere e il desiderio, il terzo per il sonno.
Bevuto questo, i saggi convitati
si accingono a tornare a casa. Il quarto non più
appartiene alla nostra influenza, ma alla violenza, il quinto al frastuono,
il sesto alla processione bacchica, il settimo agli occhi pesti,
l’ottavo è per il testimone d’accusa, il nono per la collera,
il decimo fa uscire di senno.
Infatti un gran numero di libagioni fatte in piccoli bicchieri
taglia facilmente le gambe a chi ha bevuto”
(Eubulo, commediografo, fine V sec. – 376 a.C.)
Con l’ultimo sorso di vino rimasto sul fondo delle coppe si giocava al kòttabos, lanciando il liquido per colpire un bersaglio e vincere i premi messi in palio. A differenza che in Grecia, dove non erano ammesse donne di condizione libera, ma solo cortigiane o suonatrici, in Etruria ai simposi prendevano parte anche convitate di classe sociale elevata. Il loro comportamento disinvolto scandalizzava i benpensanti greci. Nel IV secolo a.C. Teopompo scriveva: “Sono forti bevitrici e molto belle d'aspetto”, ma “stanno a banchetto, e non vicino al marito, ma accanto al primo venuto e brindano alla salute di chi vogliono”. (MH)
Didascalie foto
1) Cratere a campana da Mantova, via Massari (350 a.C. circa)
2) Coppa (kylix) da Mantova, via Giulio Romano (III-II sec. a.C.)
3) Coppa (kylix) “ad occhioni” con leprotto da Bagnolo S. Vito, loc. Forcello (fine VI-inizio V sec. a.C., foto Università degli Studi di Milano)
3) Coppa per bere (skyphos) con civetta da Rivalta sul Mincio (V sec. a.C., foto Soprintendenza ABAP CR-LO-MN)
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